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Il prossimo 2 settembre don Adolfo festeggerà il suo Giubileo sacerdotale a cinquant’anni dalla sua ordinazione avvenuta nel 1972 per le mani e la preghiera del vescovo di Lecce, Francesco Minerva. Fino a quel giorno, Portalecce pubblicherà una serie di contributi per ripercorrere le tappe fondamentali di mezzo secolo: un dono speciale a un sacerdote giornalista e scrittore, appassionato di Cristo e della Chiesa con una vocazione particolare: le comunicazioni sociali.

 

 

Gli anni del cambiamento, come dicono gli storici del periodo compreso fra il 1968 e il 1990, furono anni di fervente operosità pastorale, di vistoso riassetto sociale, di grande riorganizzazione politica, punteggiati dall’emergere di leaders prestigiosi e da un travagliato rinnovamento dei sistemi di comunicazione.

Furono anche “anni di piombo”; ma al di là delle tragedie - da non dimenticare - quel che pure rimane è la vistosa trasformazione della comunicazione sociale. Nacquero molte nuove testate e si passò, poco per volta, dal monopolio della Rai a quello che poi sarebbe diventato il sistema pluralistico delle radio e delle televisioni nazionali e locali.

In quel medesimo periodo, in quel complesso crogiuolo sociale, morale e politico dagli esiti in gran parte imprevedibili, Adolfo Putignano mette a punto alcune sue specifiche note pastorali.

Le principali risorse gli derivano dal suo studio e dai suoi interessi di ricercatore curioso ed attento, studioso dei fenomeni religiosi, della loro genesi e del loro presentarsi, attraverso l’interpretazione di alcuni movimenti popolari e di alcune figure emergenti.

Poi però l’attenzione per la cronaca occupò uno spazio più largo; che merita d’essere rievocato, capito e proposto come modello a chi oggi non sa fare a meno di associare alla cronaca il gusto scadente dello scandalo.

Adolfo Putignano non ha mai concesso una virgola allo scandalismo. Nella stagione de L’Ora del Salento non ha fatto mancare, quando se ne presentava l’occasione, il suo rimprovero bonario, addolcito dal suo sorriso fraterno, per dire con fermezza che una certa foto non andava pubblicata o che una certa notizia andava rivista.

Il suo “segreto” era semplice: la cronaca va riferita con fedeltà, e per essere fedeli si deve rappresentare, non la piccola zona d’ombra, e nemmeno il fascio di luce provvisorio; si deve invece cogliere l’idea, l’essenza, l’identità sostanziale, ciò che davvero fa essere fedeli all’oggetto da raccontare. Se questo fa scandalo, lo si accetti con pazienza; stando però alla larga dallo scandalismo che viene quando si prende un frammento e lo si presenta come aspetto dominante. Il frammento non è la totalità. E se ci si ferma al frammento non si è più fedeli.

La penna di don Adolfo è stata sempre molto apprezzata. Per lo stile, per la finezza linguistica, per il tono accattivante e poi per una nota specifica che noi pensiamo sia la sua premura d’essere fedeli. Chi racconta con fedeltà diventa davvero interprete del suo tempo e chi con fedeltà si fa interprete, lancia messaggi di rinnovamento e di emancipazione. Sì, perché alla fine ciò che interessa alp è la crescita della comunità al servizio della verità e in ascolto della provvidenza.

Questo ci pare sia il modello di comunicazione di don Adolfo e ci piace ricordarlo mentre si celebra il 50° del suo sacerdozio, additandolo come modello nella comunicazione sociale. Un modello da studiare e da condividere, per dare lustro a don Adolfo e, soprattutto, per celebrare la sua fede e la sua vivacità pastorale.

 

 

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