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Il prossimo 2 settembre don Adolfo festeggerà il suo Giubileo sacerdotale a cinquant’anni dalla sua ordinazione avvenuta nel 1972 per le mani e la preghiera consacratoria del vescovo di Lecce, Francesco Minerva. Fino a quel giorno, Portalecce pubblicherà una serie di contributi per ripercorrere le tappe fondamentali di mezzo secolo: un dono speciale a un sacerdote giornalista e scrittore, appassionato di Cristo e della Chiesa con una vocazione particolare: le comunicazioni sociali. Oggi il contributo di don Elio, parroco del Sacro Cuore in Monteroni.

 

 

Don Adolfo Putignano è un uomo timido e riservato. Non parla molto, saluta tutti e, più che altro, scrive. Fin dalla sua prima giovinezza, quando la Chiesa iniziava a guardare con trepidazione verso l’orizzonte dischiuso dal Concilio, ha intuito l’importanza chiave della comunicazione, in un mondo dove slanci di rinnovamento, attese di rigenerazione e possibilità di degenerazione si sono sempre rincorsi, senza soluzione di continuità.

Come può un uomo mettere insieme un temperamento schivo e discreto con una passione così, apparentemente, in contrasto tra loro? Come può un uomo poco incline a prender la parola spendere la sua vita per essere ministro della Parola?

È proprio in certi dettagli che affiora il senso di una vita e, per giunta, di una vita sacerdotale: perché non si tratta di veicolare parole nostre, ma la Parola, l’unica, capace di illuminare e di dare un senso diverso, più autentico alla vita.

Don Adolfo scrive, offre a chi lo legge, beneficia del frutto di tutta una rielaborazione, in cui si ritrovano la lettura, lo studio, la riflessione e la meditazione personale, uniti insieme dallo sforzo di comunicare fedelmente un messaggio. Ciò vuol dire essenzialmente dare un significato alle parole, soppesarle e porgerle, senza la fretta e la smania di dover parlare a tutti i costi, senza l’ansia di esprimere la propria opinione, ma con la consapevolezza di donare una parola pensata.

Don Adolfo ama la storia, ama il suo paese, Monteroni, e ama la Chiesa. Ama rimettere insieme i legami e le connessioni interpersonali e degli eventi che compongono un contesto e un’epoca e i suoi segni, artistici e non solo. Per questo, partendo dalla ricostruzione del proprio albero genealogico, attraverso una ricerca metodica, attenta e scrupolosa, è riuscito a comporre in un unicum tanti fatti e situazioni monteronesi offrendo la prima pubblicazione della storia di Monteroni. Un racconto, mai lasciato al caso, ripreso e registrato direttamente dalle fonti documentarie originali.

È un amore silenzioso, in linea col suo carattere, e allo stesso tempo amore appassionato, viscerale come può essere l’amore di un figlio per chi lo ha generato e l’amore di un padre per coloro a cui dona la vita.

Basterebbe forse questo per tratteggiare in sintesi un ministero di cinquant’anni: una vita… con altro tempo e altra vita davanti.

Partendo dalla parrocchia Ausiliatrice come viceparroco e poi alla matrice di Monteroni con lo stesso incarico, per poi replicare successivamente lo stesso percorso, assumendo la responsabilità di parroco.

Anni di entusiasmo da giovane prete, inserito appieno in tutto un mondo giovanile vicino a lui, con tutta una serie di istanze di novità, di rinnovate attenzioni. L’esperienza della radio, le pubblicazioni dei vari numeri dei giornali parrocchiali, tutte custodite nel suo archivio personale, i cortei, le manifestazioni: sullo sfondo l’idea e il sogno di mettere insieme la ricchezza del mondo antico in cui si è formato e l’entusiasmo di un mondo nuovo, espresso dal Concilio, ricco di nuovi slanci, fino ad allora quasi improponibili. L’intuizione di fondo: il giornalismo e la comunicazione come chiave di lettura e di interpretazione privilegiata, seppure non unica, della realtà. Quasi fosse questo il modo concreto di esprimere la sua vocazione e missione: essere ponte e cerniera in una transizione affascinante e allo stesso tempo complessa, in cui ripensare il modo stesso di essere Chiesa. Comunicare per essere presenti e attenti in un contesto variegato, colpito e affascinato da tutto un pluralismo di voci. In questi anni Monteroni e i Monteronesi hanno visto un riferimento, di più, hanno avuto la possibilità di una alternativa credibile, nelle fatiche e nei problemi, ripartendo dalla parrocchia vissuta appunto come riferimento. Monteroni è un paese che mette insieme, come pochi altri, ricchezze e complessità, potenzialità enormi e ricadute preoccupanti in una sorta di “individualismo di massa”. In tempo di crisi profonda - tra la fine degli anni ‘80 e gli anni ’90 - e non solo, trovare segni e motivi di speranza è necessario come l’aria.

Un servizio, quello di don Adolfo, racchiuso attraverso un percorso lungo ed intenso, impossibile da raccontare in poche righe: di questa linea storica mi limiterò a considerare unicamente due punti esemplificativi.

Al tempo del liceo, don Fernando Maraglino, prete di Massafra e docente di storia presso il seminario di Taranto, ci ripeteva spesso che un uomo in gamba non è colui che è capace di fare tutto, ma colui che sa scegliere le persone adatte con le capacità più adatte all’incarico assegnato. Detto in altre parole, in una comunità parrocchiale il parroco ha il ministero della sintesi, non la sintesi dei ministeri: la capacità di coordinare i talenti di ciascuno, non pretesa di essere depositario di ogni talento. Apprendimento fondamentale!

In quegli stessi anni, ebbi modo di chiedere a una ragazza come si trovassero con il nuovo parroco: non vado in chiesa per don Adolfo - è stata la risposta - lui è bravo, ma non lo vediamo molto, nel gruppo dei giovani ci troviamo bene soprattutto per le qualità di Carmen Sozzo. Un esempio realizzato, da seguire! In linea con lo stile discreto della persona.

Infine, quattro anni fa, quando il vescovo ha chiesto la disponibilità a cambiare, dopo oltre trent’anni, sentendo forse riecheggiare le parole di Dio ad Abramo: «Esci dalla tua terra e dalla casa di tuo padre e va’ dove ti indicherò…», don Adolfo ha detto il suo “sì”.

Probabilmente ha letto nella morte recente della mamma un segno della volontà di Dio. Non conosco i riferimenti del suo discernimento, vissuto in silenzio, coerente al suo modo di essere. Conoscendolo, posso solo intuire quanto gli sarà costato. Soprattutto credo fermamente che anche questo sia un esempio, per nulla scontato. È molto significativo che un uomo e un prete, alla soglia dei settant’ anni accetti di ricominciare, di rimettersi in discussione, continuando, come sempre, ad impiegare i suoi talenti al servizio della Chiesa di Lecce e di Puglia, attento anche ad esprimere il senso di gratitudine verso chi lo ha preceduto. Segni permanenti di una educazione d’altri tempi, sempre attuale, quando si tratta di esprimere delicatezza, attenzione e un senso di umanità profonda.

Potrei raccontare della nostra amicizia, da quando, appena sedicenne, mi sono lasciato “risucchiare” nel suo studio, ma anche in questo caso seguirò l’esempio del silenzio, limitandomi a una semplice considerazione: è importante vivere la bellezza dell’amicizia, tra persone e tra preti, mai scontata, capace di arricchire pur esprimendo sempre un senso grande di gratuità. È un porto sicuro dove approdare dalle stanchezze, e potersi confrontare per il bene delle persone che incrociano il nostro cammino, per il bene e per amore della Chiesa, sempre!

Cinquant’anni: una vita… e il suo racconto o, come direbbe Padre Turoldo, il suo canto.

Tempo di bilanci? Certamente a livello personale. Poi, a ben vedere, è tutto ancora prematuro, quasi fosse ancora da scrivere in pienezza. Il tempo che ci sta davanti è ancora e sempre tempo di grazia, ripensando anche all’esperienza di tanti preti monteronesi che hanno lasciato, ciascuno secondo il proprio stile, una traccia umanamente e spiritualmente significativa.

La vita di ciascuno di noi è il frutto e la sintesi di un intreccio di incontri, di esperienze, di relazioni. Frutto di pregi e talenti, difetti e povertà. È frutto della grazia di Dio, prima di tutto, a maggior ragione per un prete.

Nella liturgia di questi giorni è bellissima l’orazione sulle offerte: «Accogli, Signore, i nostri doni, in questo misterioso incontro tra la nostra povertà e la tua grandezza. Noi ti offriamo le cose che tu stesso ci hai dato e tu in cambio donaci te stesso». Nel nuovo messale sono cambiate un po’ le parole, ma il senso rimane intatto.

Sì, è tutto qui il senso. Il senso di cinquant’anni, di una vita. Il senso di un amore, silenzioso e tenace, per le proprie radici, per Dio e per l’uomo, per la Chiesa. Il senso di un amore indicibile e, altrimenti, difficilmente spiegabile.

 

 

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