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No. Così non va. Il passivo striminzito sta stretto ai veneti e paradossalmente va bene ai salentini.

 

 

 

Il Lecce ha iniziato i play off in terra veneta con troppa accortezza e prudenza, forse anche con un certo timore, confermando il modulo dell'intera stagione, ma proponendo come trequartista Marco Mancosu e rilanciando in difesa Dermaku, al posto di Meccariello.

I lagunari utilizzavano molto le fasce laterali, soprattutto con Mazzocchi, il quale costringeva Gallo a fare gli straordinari. Ma era tutto il Venezia a pressare alto, a schiacciare il Lecce nella propria metà campo e usando i calci da fermo per creare occasioni da gol a ripetizione. Basti pensare che nei primi 10 minuti i veneti tiravano per ben 6 volte in porta. La squadra di Corini sbandava vistosamente, perché non vi erano le giuste distanze tra i reparti, i giallorossi giocavano sotto ritmo, mancavano di aggressività e cattiveria in difesa, mentre i lagunari riuscivano spesso a sfruttare Taugourdeau e Aramu, abili a mettersi tra le linee e dettare rapidamente i passaggi in verticale. Anche il possesso palla dei lagunari era lineare, mai banale e ficcante. Il Lecce, col passare dei minuti, cercava di coprire meglio il campo, grazie all'esperienza di Maggio, alla diga di Hjulmand e alla forza di Coda che tentava di far salire e respirare la squadra. La manovra salentina era però farraginosa, i passaggi imprecisi e Mancosu non era in grado di salire in cattedra e cucire il gioco offensivo, dove Stepinski era evanescente e Coda impreciso.

Anche sul finire del primo tempo, dopo aver cercato di limitare il Venezia, i salentini tornavano a soffrire a causa di una clamorosa imprecisione di Lucioni e al tiro da due passi di Forte, egregiamente respinto da un super Gabriel, protagonista di un prodigioso e istintivo intervento. Così all'intervallo, i veneti avrebbero meritato il vantaggio, soprattutto per la corsa e lo spirito dimostrato. Modolo e Forte costituivano due spine nel fianco per la difesa giallorossa unitamente a Johnsen e i lagunari sembravano avere più birra, nonostante i 120 minuti disputati solo 4 giorni prima.

Nel secondo tempo, purtroppo, la musica non cambiava e il vantaggio nei primi minuti era meritato sull'asse Aramu, Maleh e Forte, che insaccava sul secondo palo dall'interno dell'area di rigore.

Il gol subito avrebbe dovuto svegliare un poco un Lecce assopito, incerto e timoroso.

Si vedeva qualche trama offensiva e i salentini uscivano per lo meno dal guscio. Era però troppo poco quanto prodotto. Bjorkengren era avulso dal gioco, Majer non si sganciava con frequenza in avanti e Mancosu era troppo intermittente.

Anche sulle seconde palle il Lecce arrivava sempre dopo i lagunari, ma, nonostante le difficoltà, Corini tardava a effettuare i cambi, forse perché indeciso sul da farsi. Solo a poco più di 20 minuti dalla fine entrava Henderson, il quale si faceva subito notare con spunti interessanti e una grinta che era rimasta a casa in tutto il resto della squadra. Il Lecce era impacciato, mentalmente scarico, lento e prevedibile. Sono mancati i cambi di gioco, le invenzioni dei centrocampisti e le invenzioni delle punte.

Il Lecce visto in laguna è stato troppo brutto per essere vero. Improduttivo in attacco, fragile in difesa, e soprattutto, maledettamente stanco. Così non si può aspirare a raggiungere la finale. La squadra di Corini era senza idee e mancava della giusta mentalità. Il passivo è certamente ribaltabile, ma a patto di vedere un Lecce più offensivo, propositivo e volitivo. Altrimenti sarà notte fonda, anche perché il Venezia ha dimostrato di avere qualità e quantità, oltre che una grande fisicità.

Al Via del Mare, si definiranno le sorti di un intero campionato. Non sarà impossibile, ma nemmeno semplice. Serve un'impresa, ma il Lecce si aggrapperà alle ultime energie per guadagnarsi la finale.

 

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