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“Stupore, vicinanza e accompagnamento” sono “tre parole che possono indicare un percorso di conversione pasquale alla vita per riappropriarci, nell’amore che è Dio, della nostra vita di cristiani”.

 

 

 

Le ha spiegate questa mattina il vescovo di Lucera-Troia, mons. Giuseppe Giuliano, nell’omelia che ha pronunciato nel corso della Messa crismale che ha presieduto in cattedrale a Lucera.
“Ho paura delle persone che non si commuovono”, ha rivelato il presule: “Ho paura per un prete che ha perso il senso dello stupore e, di conseguenza, la passione per il Vangelo. A cominciare dallo stupore per la sua stessa vita”. “Noi siamo, oggi, immersi in una dinamica di morte che ci impedisce di cogliere la bellezza della vita”, ha osservato: “Respiriamo morte. Così tentiamo, paradossalmente e disperatamente, di fuggire la morte. Ma i nostri tentativi di esorcizzarla falliscono miseramente perché sono simili all’illusione di chi non riesce a vedere la realtà e si rifugia nella chimera della finzione”.

“Ci trattiamo, erroneamente, da ‘mortali’, da ‘figli di morte’ ma in realtà non lo siamo”, ha proseguito mons. Giuliano: “Perché siamo ‘vivi’, siamo ‘figli della vita’ e chiamati con ostinata tenerezza alla pienezza della vita. Lo stupore della vita è la possibilità stessa dei nostri giorni”.

Riguardo alla parola “vicinanza”, il vescovo ha affermato di aver “paura di chi ha scelto l’isolamento come modalità di esistenza. Ho paura per un prete che non sa farsi vicino alla sua gente, che non vuole ‘abitare’ fra le persone a cui è mandato”. “La prima grande testimonianza che il prete può offrire agli uomini e alle donne di oggi - ha ammonito - è quella di abitare tra di loro. Abitare nel senso di stare con la mente e con il cuore, non solo con il corpo, tra il gregge affidato. Si tratta dello ‘odore delle pecore’ di cui parla il Papa”.

Infine, l’“accompagnamento”.

“Ho paura di coloro che preferiscono la comodità della poltrona alla fatica del cammino. Ho paura - ha spiegato - per un prete che non sa o non vuole imparare ad accompagnare i fratelli nell’arduo cammino della fede e della santità”. “Accompagnare - ha evidenziato mons. Giuliano - significa non vergognarsi di condividere le proprie e le altrui debolezze, né disdegnare di piangere con chi piange e di gioire con chi gioisce. Significa riconoscere le fatiche e le angustie, le conquiste e le speranze del proprio prossimo, ed avere il coraggio e la generosità di farle proprie”.

“L’uomo di oggi - ha ammonto - ha bisogno di essere ascoltato, incoraggiato, creduto, ed anche ripreso. Ha bisogno di qualcuno che gli apra nuove prospettive di esistenza e nuovi orizzonti di fraternità”. Per cui, “alla tentazione di rintanarsi nel chiuso della propria camera, o nella prigione del proprio ‘privato’, occorre reagire con la scoperta della solidarietà e della condivisione. C’è struggente bisogno di chi sappia aiutare a reagire, di chi non si lascia guidare da interessi umani, ma dall’amore che intuisce, previene, si coinvolge”.

 

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