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“Il bene non è veramente tale, se non è per sempre. Il nostro cuore porta in sé un desiderio insopprimibile di eternità, ma non di una durata senza fine di questa vita, della vita così com’è ogni giorno, perché anzi ciò potrebbe essere insopportabile, ma della vita come dovrebbe essere e come la desideriamo, della vita trasfigurata e pienamente realizzata, contrassegnata dall’attributo dell’eternità”.

 

 

 

 

Lo scrive l’arcivescovo di Otranto, mons. Francesco Neri, nella lettera pasquale. Ora, “la Risurrezione di Gesù Crocifisso implica l’ingresso della nostra umanità nell’eternità di Dio. In Gesù risorto, il Padre ci dona lo Spirito Santo, che è la vita stessa di Dio. Già qui sulla terra ne partecipiamo tramite la grazia del Battesimo e dell’Eucaristia, in attesa di goderla in cielo in modo sicuro e definitivo. In Gesù Risorto si compie dunque la nostra speranza di eternità”.
Mons. Neri osserva: “Un frutto immediato della redenzione è dunque che la morte non è più la parola definitiva sulla nostra condizione. Nel mistero pasquale, siamo liberati dalla paura della morte, e perciò un uomo di fede come San Francesco, nel Cantico di frate Sole, riesce a chiamarla ‘sorella’” perché “essa è ormai un passaggio, che introduce all’incontro pieno con Dio”. Ma “si tratta comunque di un passaggio difficile. Anche quando è illuminato dalla fede, l’evento della morte è un mistero drammatico”.

Ecco che “allora la fede in Gesù Risorto deve insegnarci a vivere bene la nostra morte. Per quanto l’argomento sia scomodo, non servirebbe rimuoverlo indefinitamente. Non è bene pensarci continuamente, ma non è bene neanche omettere di confrontarsi con la morte. Anzi è necessario chiedere la grazia di morire bene, cioè di morire in Gesù, di attraversare la morte come l’ha attraversata Gesù”. E conclude: “Domandiamo, per noi e per tutti, il dono di vivere e morire bene, nella grazia di Dio”.

 

 

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