0
0
0
s2sdefault

Prosegue il nostro monitoraggio del mondo dei giovani. Dopo social media e fede, poniamo l’attenzione sul lavoro, aprendo una finestra sulla complicazione di restare pienamente dei giovani credenti mentre si è alle prese con la ricerca di un impiego, già difficile di per sé, o dell’affermazione nel professionismo e si è indotti a sacrificare valori e ideali per scorciatoie di vario genere. Vale la pena dare un’occhiata a questo contributo. Buona lettura!

 

La fatica della coerenza

Il confronto con chi abitualmente fa gli sgambetti per migliorare la propria posizione lavorativa è fastidioso. Si può rimanere se stessi e allo stesso tempo essere professionisti apprezzati?

Scrive Davide: «Ho 25 anni, sono un lettore “anziano” di DN, ma vi voglio ugualmente lasciare la mia esperienza. Sono sempre stato molto attivo in parrocchia, così come tutta la mia famiglia. Mi sono laureato a pieni voti e per fortuna, senza fuggire all’estero, grazie a una specializzazione un po’ particolare - analista di Big Data - ho subito trovato lavoro in una giovane azienda molto agguerrita, con prospettive di crescita importanti, sia per il business che per il sottoscritto.

 

Dopo pochi mesi dal mio arrivo, ho notato che, in modo involontario, mi stavo facendo terra bruciata attorno. Il motivo? Seguendo semplicemente le regole di comportamento insegnatemi dalla mia famiglia, mi impegnavo a fare bene. Questo voleva dire: non caricare i colleghi di lavori miei; non parlare male degli altri per salire di grado; non “lecchinare” il capo per avere favori; non passare agli altri i compiti più onerosi che spettavano comunque a me.

 

E mentre io cercavo di mantenermi “normale” e coerente con me stesso, altri colleghi - certamente meno attenti a queste forme di rispetto - progredivano di ruolo e di stipendio a fine mese. Ne ho discusso con mio padre, che per 30 anni ha lavorato in un’azienda analoga. La sua risposta è stata: funziona così. Allora io mi chiedo: per fare carriera devo dimenticarmi di essere una persona seria? E il rispetto del vangelo dove va a finire?».

Il cristiano non va in giro con una medaglia appuntata sul petto. È una persona come tutte le altre, che cerca però di rispettare le regole del vivere civile, che è più attento a chi ha bisogno. Non si gira dall’altra parte, non si lascia invadere il cuore da odio o intolleranza.

Se questi principi sono abbastanza semplici da seguire, specie quando ci si ritrova nella comunità parrocchiale, in cui tutti possiedono lo stesso idem sentire, la questione si fa complessa quando si “esce” fisicamente dalla calda e protettiva chiesa del quartiere. Là, fuori, il gioco si fa duro.

In linea teorica tutti gli interlocutori - capi, mega manager, colleghi, sottoposti - dovrebbero essere sempre brave persone. Il fatto è che, per alcuni, essere “brave persone” significa lavorare con impegno, motivazione, sorriso. Per altri, faticare il meno possibile, per altri lamentarsi continuamente e incolpare gli altri delle proprie insoddisfazioni.

Lo smarrimento di Davide è legittimo e provato da tantissime altre “brave persone vere”, ma bisogna rapidamente andare oltre questo andazzo.

Come affrontare il lavoro

Che si tratti di piccola azienda, multinazionale, ente pubblico, realtà che ha a che fare con gli altri (banca, ospedale, esercizio commerciale); che la persona sia cristiana, musulmana, buddista o atea sino al midollo, vi è un solo modo corretto che sovrasta ogni particolarismo, personalizzazione, allergia, fastidio o abitudine: la responsabilità. Per ciò che si è, per il ruolo che si ricopre, per l’importanza che il lavoro riveste nella propria vita. E la serietà, che induce a portare a termine il lavoro, ad arrivare puntuali, a comportarsi correttamente nei confronti di capo, colleghi, clienti.

E la carriera? Se il capo è intelligente, se la struttura manageriale è realmente competente, le persone che agiscono in maniera professionale emergeranno come in un prato emergono i fiori dallo stelo più alto. Il processo è naturale. Ed è sempre identico.

Quindi, in poche parole, i sogni e la carriera non si smorzano perché si è brave persone. Anzi, si realizzano proprio perché si è brave persone.

E i furbetti dove li mettiamo?

Volete fare un favore a voi stessi e a loro? Ignorateli. Questa è l’esperienza diretta ventennale di chi vi scrive: a fare carriera, quella vera, quella che porta anche fama - e correlate immense responsabilità da mal di pancia - sono le persone meritevoli. Competenti. Quelle che hanno sacrificato tempo ed energie per il lavoro, si sono formate, non hanno smesso di essere curiose. Le altre? Hanno salito i primi gradini del famoso “successo”, poi si sono arenate per manifesta incompetenza.

Cosa vogliamo dire? Nella vita non si bara, mai. E le scorciatoie non funzionano. Al liceo può andarvi bene un’interrogazione, anche se siete impreparati: un’unica volta, però. Ugualmente, sul lavoro, inizialmente i “fuffoni” possono essere presi per “intelligentoni”, poi, alla prima magagna, la vera dimensione professionale degli individui emerge in modo imbarazzante.

La carriera è un bene o un male?

Posto in questo modo, il quesito non è corretto. Se una persona lavora, si impegna, ottiene risultati, è giusto che benefici dell’aumento di stipendio, delle gratificazioni e di tutti i benefit. Allo stesso modo, realizzare i propri sogni è giusto e gratificante. Passiamo al lavoro metà della nostra vita, dobbiamo in tutti i modi renderlo “a nostra misura”, sia che siamo panettieri, scrittori, operai o biker.

Certo il patto deve essere molto chiaro: le gratificazioni non arrivano dopo tre mesi di lavoro. Specie in questo periodo, i ragazzi sono chiamati a impegnarsi tre volte tanto rispetto ai loro “pari età” di un tempo. Non è sufficiente essere mediocri, occorre essere super-bravi, dimostrarlo; essere motivati e attenti. Il lavoro non bussa più alla porta di nessuno? Pazienza, busserete voi alla sua. La carica e l’energia che possiede un giovane sono in grado di abbattere qualunque difficoltà, a patto che si sia disposti a darsi da fare.

Abbasso gli sfruttatori

Il discorso fatto finora regge a una condizione: che il datore di lavoro sia in grado di consegnare al giovane lavoratore diritti, un equo stipendio, una possibilità di crescita. Non sempre e solo contratti da 800 euro che ogni tre mesi vanno ridiscussi.

La flessibilità che 25 anni fa i giuslavoristi iniziavano a teorizzare era ben altro: riuscire a creare un mondo del lavoro nel quale i giovani potessero passare da un incarico a un altro senza un solo giorno di disoccupazione, aumentando di volta in volta il proprio reddito.

Noi ci crediamo ancora, ci dobbiamo credere, non possiamo immaginare che il modello “meno diritti per tutti” sia quello vincente. Per cui vi esortiamo a cercare e trovare, per quanto possibile, condizioni dignitose e un posto di lavoro in cui possiate sorridere entrando la mattina.

Siete carrieristi? Con pazienza e immenso impegno riuscirete ad arrivare dove vi siete prefissati. Non vi interessa fare carriera perché altro vi interessa, fuori dall’ambito professionale? Siate ottimi professionisti e stimati colleghi comunque.

In tutti i casi, portate sempre appresso voi stessi. Non abbandonate i valori in cui credete, dato che sono assolutamente attuali, pertinenti e giusti.

E se lo sconforto vi prende, nel vedere che un certo collega si è preso i complimenti al posto vostro per un lavoro completato da voi, non vi preoccupate: sarà la prima e ultima volta.

Che si fa: lavorate sulle soft skill

Il mondo del lavoro in Italia è in rapido cambiamento. Non sono solo le professioni nuove a fare capolino e a soppiantare quelle vecchie. Sono anche le competenze, quelle che si chiamano soft skill. In pratica, anche all’interno dell’azienda cambiano i modi di arrivare al risultato.

Volete essere pronti, non appena laureati, per affrontare le nuove opportunità? Allora iniziate da ora a imparare a:

- lavorare in team;

- avere una visione multilaterale del problema;

- usare la creatività;

- utilizzare la capacità di problem solving;

- saper prendere decisioni importanti, ora subito;

- gestire lo stress;

- essere proattivi;

- utilizzare il pensiero critico, ossia gestire il presente sfruttando le capacità acquisite in passato.

(Estratto della  rubrica «#hashtag», di Elena Giordano, nella serie “Nessuno escluso” n. 8, pubblicato su “Dimensioni Nuove” di novembre 2018 – LDC, ed anche https://www.dimensioni.org/2018/11/la-fatica-della-coerenza.html)

 

Forum Famiglie Puglia