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Selfie estremi, sfide pericolose fino alla morte. L’ultima di una lunga serie quella di quattro ragazzini, ieri a Bologna, sui binari dell’alta velocità. Tragedia evitata dalla prontezza di riflessi del macchinista.

“Sono alla disperata ricerca di visibilità e non hanno l’esatta percezione della loro corporeità e dei rischi che corrono - spiega Maria Beatrice Toro, docente di psicologia di comunità presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell’educazione Auxilium -.

“Le gare spericolate in auto o in moto avvenivano anche in passato - afferma -, ma qui si tratta di ragazzini che non sanno valutare il movimento del proprio corpo nello spazio, l’effettività delle loro azioni. Cresciuti per lo più in casa davanti alla consolle o al pc, hanno poca dimestichezza con una realtà diversa da quella del computer o del telefonino. Le uniche ferite che conoscono sono quelle dei videogame dove si muore e si rinasce, si ri-muore e si rinasce ancora. In tutto questo c’è una tragica e fatale inesperienza”. 

Un mix cui si aggiunge la spasmodica ricerca di “qualcosa di dirompente per farsi notare e ascoltare in un mondo fatto di milioni di voci: esisto solo se qualcuno mi vede, e più like ricevo, più esisto”.

Insomma un disperato bisogno di attenzione, che è quasi opprimente nell’infanzia e poi viene gradualmente meno da parte di genitori “spiazzati” dalle ribellioni adolescenziali e schiacciati tra impegno lavorativo, cura di figli adolescenti e accudimento di genitori anziani.

I regali non servono, avverte l’esperta; occorre piuttosto “una presenza costante, semplice, discreta, nella vita ordinaria di tutti i giorni”. E attenzione ai “campanelli d’allarme” che non vanno trascurati.

 

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