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Il virus lo specchio della nostra società. Oggi la sopravvivenza assume un valore assoluto, come se fossimo costantemente in guerra e tutte le energie vitali vengono adoperate per allungare la vita.

 

 

 

La pandemia afferma Byung-Chul Han, ha ricordato che la sopravvivenza va contrapposta alla buona vita: la caratteristica principale dell’odierna esperienza del dolore consiste nel fatto che esso viene percepito come privo di senso dimenticando che c’è l’arte di patire il dolore che l’odierna società non conosce più. Questo ci porta a riflettere anche sull’insensatezza che anche la nostra vita, ridotta a un processo biologico è volta ad essere svuotata di senso. Il dolore insensato è possibile allora solo in una vita che non racconta più nulla.

Oggi viviamo in un’epoca post-narrativa dove non è il racconto o le narrazioni a mandarci avanti ma il conteggio a influenzare la nostra vita. Il comportamento auto-aggressivo vede oggi un rapido incremento: sui social imperversa solo immagini di ferite autoinflitte: segno di una società dominata dal narcisismo in cui ci si sobbarca sé stessi fino all’insostenibile. Ci siamo dimenticati che solo le verità fanno male: la verità ha portato Cristo su una croce. Anzi, senza dolore siamo ciechi e incapaci di riconoscere la verità e i fatti. Il dolore è differenza in quanto articola la vita marcando i confini e ricordando le differenze di ogni essere. C’è allora una poetica del dolore che ci ricorda che chi coltiva la sofferenza però trova vantaggio nella scrittura.

Il dolore ha accompagnato tutti dove il bello è il colore complementare del dolore: dinanzi al dolore, lo spirito non può che immaginarsi il bello. Il dolore è che la chiave che non apre solo i segreti dell’anima ma il mondo stesso con la sua bellezza. Allora solo la nudità dell’anima, l’esposizione, il dolore verso l’Altro ci può far ritornare uniti e in pace. Senza il dolore verso l’Altro non abbiamo accesso al dolore dell’Altro.

 

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