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Gli Stati Generali, voluti dal premier Giuseppe Conte per mettere a punto il piano di ricostruzione e rilancio del Paese prostrato dalla pandemia, inizieranno domani.

 

 

Sarà una prima giornata di assoluto rilievo, con una sfilza di protagonisti internazionali come la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, alcuni presenti fisicamente a Roma, altri collegati a distanza. Ma dal punto di vista politico pesa fortemente il diniego dei partiti d’opposizione, a cui era stata riservata la giornata inaugurale, prevista inizialmente per venerdì. Lega, FdI e Forza Italia hanno comunicato che parteciperanno a confronti soltanto nelle sedi ufficiali. Che poi il Casino del Bel Respiro di Villa Pamphilij, luogo prescelto per gli Stati Generali, sia un’ufficialissima sede di “alta rappresentanza” della Presidenza del Consiglio conta poco.

Il dato è che le forze d’opposizione non vogliono dare sponde a Conte in un momento in cui intorno alla ricostruzione e, in particolare, al “tesoretto” in arrivo dall’Europa, si stanno ridefinendo posizioni e alleanze per il futuro.

Sulla questione è intervenuto il prof. Rocco D’Ambrosio, sacerdote barese e professore ordinario di filosofia politica in Gregoriana a Roma con un articolo su formiche.net, aprendo la sua riflessione dalla lettura di un libro dal titolo “Premesse della politica e Architettura di uno Stato democratico” pubblicato da Giorgio La Pira.

“Il testo - scrive D’Ambrosio - era il contributo di uno studioso a una comunità in fase di ricostruzione, bisognosa di indicazioni politiche quanto giuridiche, filosofiche quanto pratiche. Mi ha sempre colpito il fatto che tre quarti del libro - la prima parte sulle ‘Premesse’ - siano dedicati a illustrare le più importanti visioni del mondo (Weltanschauung) e solo l’ultima parte, appena 50 pp., all’architettura dello Stato democratico, ovvero agli aspetti giuridici della Repubblica che si andava a costruire. Uno dei chiari esempi in cui l’indice e la distribuzione della materia parlano da sé: non si può architettare uno Stato se non si trae ispirazione da una visione di mondo. E a scriverlo era un giurista!”.

“Il testo - continua il filosofo - mi è venuto in mente proprio in questi giorni, in cui sono stati annunciati gli Stati generali dell’economia, visti come un passaggio importante per il rilancio dopo l’emergenza Covid-19. Forse andavano chiamati diversamente, visto che gli Stati generali presuppongono un lavoro un po’ più approfondito di preparazione. Cosa fatta capo ha. Va apprezzato, comunque, lo sforzo di riflettere, tutti insieme, nessuna parte sociale esclusa, su quello che sarà il futuro dal punto di vista sociale ed economico”.

“Il primo elemento che salta agli occhi è il problema del dialogo. Sono i partecipanti disposti a dialogare? E cosa vuol dire dialogare quando si vuole “ridisegnare” il Paese? Non possiamo qui dimenticare la lezione dell’Assemblea costituente. (…) Alcuni protagonisti, della maggioranza come dell’opposizione, non hanno dato prova, finora, di volere un dialogo sereno e costruttivo. Non dialoga chi si contrappone o chi si crede detentore di verità assolute; ancor peggio chi ha doppi fini elettorali e di potere”.

“Tuttavia – scrive più avanti -, per alcuni aspetti, il lavoro odierno è più facile di quello dei Costituenti. Gli Stati generali non devono scrivere una Costituzione, né incorporare o forgiare persone, movimenti e riferimenti etici. È tutto già incorporato, forgiato e mediato: si chiama Costituzione. Gli Stati generali, allora, hanno senso e significato, dal punto di vista etico, se sono lo sforzo di rinsaldare e attuare meglio quei principi costituzionali; non certo se sono fatti per stravolgerli. E tra i principi fondanti emerge la drammaticità dell’attuare sempre più la ‘solidarietà politica, economica e sociale’ (art. 2)”.

Il problema principale, però, per D’Ambrosio è la qualità della nostra classe dirigente. “È innegabile - prosegue don Rocco - come le democrazie occidentali, negli ultimi decenni, siano attaccate da diversi tarli: liberismo sfrenato, distruzione del welfare, populismo, nazionalismo, corruzione, criminalità organizzata. La Pira chioserebbe: ‘Le radici ultime di questa crisi sono radici di pensiero: la crisi, prima di essere crisi politica ed economica, è crisi di idee’, che investe tutti, cittadini e leader”.

“Ma non è solo un problema di leader - conclude - è un problema di gruppi che sostengono i leader. La storia insegna che leader non sempre all’altezza hanno avuto l’umiltà di farsi aiutare da persone capaci, che non si sono risparmiate nel collaborare, dialogare e mediare per disegnare scenari di alto profilo. Anche in questo l’Assemblea Costituente docet: chi aveva di più - in maturità, idee, principi etici e soluzioni – ha dato di più. Nel 1975 raccontando quell’esperienza La Pira ebbe a dire: ‘Noi eravamo un gruppetto e sapevamo dove arrivare: affermare i valori della persona, la sua architettura, il suo mondo interiore di libertà, l’atto mistico che la definisce’”.

 

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