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“I mafiosi sono scomunicati, ma questo concetto a Vittoria non è mai passato”. A sostenerlo è il giornalista di Tv2000 Paolo Borrometi che lo scorso 5 luglio ha ricevuto a Trepuzzi il Premio Maurizio Rampino 2019.

Il giornalista che vive sotto scorta ha sottolineato il “ruolo educativo e culturale” che la Chiesa “potrebbe e dovrebbe esercitare” nel comune del Ragusano sciolto un anno fa per infiltrazioni mafiose, teatro giovedì scorso di una tragedia che è costata la vita a due cuginetti di 11 e 12 anni. Borrometi spiega che nonostante i severi moniti di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco, sono “poche” le “omelie del clero vittoriese in questo senso” e molti mafiosi “continuano a definirsi persone di fede e ad andare in chiesa”.

“Alcuni sacerdoti avrebbero dovuto fare di più” perché “l’impegno educativo della Chiesa è strategico per dare un contributo culturale alla città”, sostiene il giornalista ricordando invece le critiche di alcuni esponenti del clero locale allo scioglimento del comune di Vittoria. “Tutti - la sua esortazione - dobbiamo fare squadra; serve una presenza forte di repressione e di cultura”. Borrometi ha sentito i genitori dei due cuginetti che non cercano vendetta ma giustizia. Il papà di Alessio gli ha chiesto di aiutarli ad avere “giustizia secondo le leggi”. “Mi sono assunto con loro - riferisce - l’impegno di non far calare il sipario affinché la morte di Alessio e Simone abbia giustizia nel senso più pieno del termine”.

Nonostante l’aggressione che gli ha provocato una menomazione permanente ad una spalla, l’attentato mortale al quale è riuscito a sfuggire e le continue minacce, il giornalista non intende smettere di denunciare: “Io ho paura sempre, ho paura di morire ma non posso fare diversamente. Ho sognato di fare il giornalista a nove anni, quando ho visto l’immagine della strage di Capaci. Sono siciliano e un giornalista che vede determinate cose non può girarsi dall’altra parte. Io non faccio nulla di eroico; raccontando la verità faccio semplicemente il mio dovere come fanno migliaia di giornalisti in questo Paese, soprattutto nelle periferie”.

 

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