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Si potrà andare in pensione con almeno 62 anni di età e un minimo di 38 anni di contributi. È questa la “quota 100” approvata in via sperimentale per un triennio, con una clausola di salvaguardia che scatterebbe nel caso di superamento dei piani di spesa per tenere sotto controllo i conti pubblici.

La prima “finestra” per andare in pensione con i nuovi criteri, avendo maturato i requisiti al 31 dicembre scorso, è ad aprile per i lavoratori del settore privato, mentre i dipendenti pubblici dovranno attendere agosto e in ogni caso dovranno presentare la domanda con un preavviso di sei mesi. Nel settore della scuola resta in vigore il regime speciale: chi matura quota 100 entro il 31 marzo potrà andare in pensione a settembre, gli altri dal prossimo anno scolastico. Per i dipendenti pubblici è stata introdotta una novità che riguarda la liquidazione: invece di aspettare i 67 anni e il versamento in più rate, potranno ottenere dalle banche un anticipo fino a 30 mila euro con il 95% degli interessi a carico dello Stato. Per colmare i vuoti contributivi (al massimo 5 anni) le nuove norme stabiliscono condizioni di riscatto agevolate. Entro i 45 anni il trattamento agevolato comprende anche il riscatto del periodo di laurea. La platea potenziale è stimata in 315 mila persone nel 2019, un milione nel triennio.

La scelta di usufruire della quota 100 è libera, in quanto il lavoratore dovrà tenere conto che la pensione sarà ridotta in proporzione all’anticipo rispetto ai termini della legge Fornero (si calcola circa 3-5% per ogni anno in meno) e questo non perché sia prevista una penale, ma per il semplice effetto dei minori contributi versati. Viene introdotto anche un divieto di cumulo con i redditi da lavoro, fatta eccezione per il lavoro autonomo fino a 5 mila euro annui. Le nuove norme prevedono la possibilità di andare in pensione anche fino a tre anni prima del raggiungimento dei requisiti, attraverso accordi tra imprese e sindacati che diano il via a fondi di solidarietà bilaterale per finanziare un assegno straordinario a copertura degli anni scontati e sempre che il datore di lavoro assuma un nuovo lavoratore per ogni pensionato. Viene anche bloccato a 42 anni (41 per le donne) e 10 mesi di contributi il requisito per andare in pensione indipendentemente dall’età anagrafica.

Doveva scattare un incremento di 5 mesi, ma poiché bisogna comunque aspettare che si apra la “finestra” trimestrale, la riduzione reale è di 2 mesi.

Ai lavoratori precoci (chi ha iniziato a lavorare prima dei 19 anni) non si applica l’adeguamento alla speranza di vita e quindi essi potranno andare in pensione con 41 anni di contributi (più i tre mesi della “finestra”). Viene inoltre prorogato di un anno l’Ape sociale, l’anticipo pensionistico per i soggetti disoccupati o in grave difficoltà. Le lavoratrici con almeno 35 anni di contributi potranno uscire dal lavoro a 58 (se dipendenti) o 59 anni (se autonome) avvalendosi dell’“opzione donna” che però prevede il ricalcolo dell’intero assegno previdenziale con il meno vantaggioso metodo contributivo.

 

 

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