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Scuole aperte sì, scuole aperte no. Mentre la didattica in presenza è sulla bocca di tutti, gli adolescenti vivono una fase di crescente incertezza che genera in loro ansia e depressione. È un’altra conseguenza della pandemia che ha fatto scoppiare la bomba del problema nella fascia di popolazione più vulnerabile, abbassando pure l’età delle manifestazioni. Maria Pontillo, psicologa e psicoterapeuta dell’unità operativa complessa di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, spiega che ad essere cresciuto è anche il desiderio dei ragazzi di rimanere a casa, il cosiddetto “ritiro sociale”.

 

 

 

Dottoressa Pontillo, registrate un boom di casi?

Con la progressiva riapertura si è pensato ci fosse la guarigione dei nostri ragazzi. In realtà non è così. Stiamo iniziando a registrare gli effetti a lungo termine del periodo di isolamento e di chiusura delle scuole. Continuiamo ad avere dei trend importanti per quanto riguarda la richiesta di visita neuropsichiatrica urgente e il tipo di disturbi manifestati. Nel 2021, abbiamo registrato una percentuale di diagnosi per depressione pari al 70% sul totale delle richieste.

È quindi la depressione la difficoltà principale fra gli adolescenti?

Sì, fra i 12 e i 18 anni. In epoca pre-pandemica la prevalenza era del 45 per cento. Il Covid è stato un agente detonatore di ciò che era sommerso. A volte in maniera drammatica, come dimostra l’aumento del 30 per cento dei casi che il Bambino Gesù ha registrato di autolesionismo, suicidio e tentativi di suicidio. È aumentato anche il ‘ritiro sociale’, cioè i ragazzi che avevano già una difficoltà nella relazione con l’altro hanno preferito rimanere a casa anche quando c’è stata una progressiva riapertura. Il trend del ritiro sociale nella fase pre-pandemia, nel 2019, era del 18% mentre nel 2021 è stato del 27%. Il trend di aumento dei disagi non si è attenuato con le riaperture delle scuole perché il continuo senso di incertezza nega ai ragazzi la progettualità e la pianificazione. Il senso di smarrimento in adolescenza è uno dei primi fattori di rischio per le condizioni ansiose-depressive. Inoltre il virus sta colpendo molto i giovani che sono impauriti dal contagio.

Da che età partono le difficoltà psicologiche?

Prima della pandemia vedevamo casi di ansia e adolescenza fra i 12 e i 18 anni. Ora la pandemia ha abbassato l’età in cui si manifestano le difficoltà psicologiche. Vediamo atti di autolesionismo anche in ragazzini di 10 e 11 anni.

Si parla spesso del ruolo della scuola nell’individuazione dei sintomi. Nel vostro reparto arrivano casi segnalati in prima istanza dagli insegnanti?

Assolutamente sì. Molti casi che ci arrivavano, perché i genitori ricevevano la segnalazione dagli insegnanti, li abbiamo persi durante i periodi di chiusura. Non è infatti venuta meno solo la funzione didattica ma anche la funzione della scuola in quanto agenzia educativa. Qualche tempo fa ho fatto un corso di formazione a delle insegnanti che hanno riconosciuto le forme viste in classe nei cosiddetti ‘ultimi’, cioè i ragazzi che si siedono in fondo alla classe e cercano di non farsi vedere.

Sono più le ragazze che soffrono di difficoltà psicologiche?

Le ragazze soffrono di più di disturbi alimentari, depressione e una maggiore tendenza all’autolesionismo. I ragazzi sono più instabili dal punto di vista emotivo e più aggressivi.

Nei bambini invece che difficoltà notate?

Anche i bambini hanno manifestato un aumento dell’ansia, hanno paura di separarsi dai genitori per il timore che si possano ammalare di Covid e non dormono più da soli. Le forme sono veramente trasversali con differenti facce, a seconda del livello di sviluppo. Inoltre non tutti vivono delle situazioni familiari serene: alcuni hanno genitori malati oppure aggressivi.

Anche nei genitori notate disturbi psicologici?

Notiamo nei genitori un vissuto personale, una condizione di stress individuale e di estrema preoccupazione per ciò che sta capitando ai loro bambini e ragazzi. I genitori ci raccontano che i figli restano chiusi in camera perché si rifiutano di condividere i pasti con loro. Sono genitori che non riescono a gestire i cambiamenti dei ritmi di vita di questi ragazzi che smettono di dormire la notte per usare i dispostivi elettronici. Sono genitori che si sono trovati a dover affrontare la funzione genitoriale in maniera non supportata dalla scuola. Si sono sentiti soli davanti ai cambiamenti e incapaci di cogliere i segnali.

L’accesso alle cure per la salute mentale non sempre è facilitato. Questo determina che ci siano casi che non emergono.

La nostra struttura copre il Centro e Sud Italia e ha solo otto posti letto per il ricovero in acuzie. Ad oggi il reparto è occupato al 100 per cento. Resta fuori tutto il sommerso. È importante riconoscere i campanelli d’allarme e che vengano formate le persone che sono a contatto con i ragazzi per fare segnalazioni precoci per ridurre la durata della malattia mentale non trattata. Dobbiamo lavorare alla base e far passare il messaggio che recarsi a una struttura di neuropsichiatria non è una vergogna. Quello che diciamo sempre ai genitori è di chiedere un consulto, anche al pediatra o al medico di base. I casi di depressione e ansia che vediamo nei giovani adulti di 30-35 anni hanno avuto un esordio prima dei 18 anni ma non sono stati segnalati.

 

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