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Una sala gremita di gente ha assistito nella serata di giovedì 8 novembre all’incontro organizzato da Meic (Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale), Ac e Rotary in ricordo del giudice Rosario Livatino a poco più di un mese dalla chiusura del processo per la sua beatificazione.

Al saluto dei tre presidenti, Paolo Polimeno, Mauro Spedicati e Domenico Lenzi, ha fatto seguito l’intervento di mons. Michele Seccia che, dopo aver ricordato la biografia del giudice, ha evidenziato la definizione che diede di lui l’allora Papa San Giovanni Paolo II: “Martire della giustizia e indirettamente della fede”. Negli anni successivi alla sua morte, avvenuta il 21 settembre 1990 per mano della Stidda, organizzazione mafiosa di quegli anni su cui Livatino stava indagando, è stato scritto e detto tanto sulla figura del giudice ragazzino, ma come ha sottolineato il Vescovo, “solo nel 2006 è stato realizzato il documentario “La luce verticale” per promuoverne la causa di beatificazione aperta dall’allora vescovo di Agrigento mons. Carmelo Ferraro la cui fase diocesana è stata recentemente chiusa dal cardinale Francesco Montenegro, attuale vescovo della stessa diocesi. Nel 1993, a soli 3 anni dalla morte, la professoressa Ida Abate, ex insegnante di Livatino, è stata incaricata da mons. Ferraro a raccogliere testimonianze per la causa di beatificazione aperta poi il 21 settembre 2011 nella chiesa di San Domenico a Canicattì”.

Come ricordato dall’arcivescovo, “la beatificazione avverrà solo se e quando sarà riconosciuto un miracolo; al momento si è a conoscenza di due presunti miracoli avvenuti per intercessione del giudice Rosario Livatino e la cui veridicità si sta ancora verificando, quello di una donna pugliese affetta da leucemia che afferma di essere stata guarita in seguito ad una apparizione del giudice e quello di un’altra donna, anch’essa affetta da leucemia che, secondo i medici, sarebbe dovuta morire entro un anno e mezzo. La malattia, in tre anni, l’aveva portata a non essere più autosufficiente, fino a che un giorno, su un giornale, è rimasta colpita dalla foto del giudice Livatino e da allora le sue condizioni cominciarono a ristabilirsi fino ad arrivare alla guarigione.”

Elio Perrone ha messo al centro del suo intervento la citazione del giudice Livatino scelta per la locandina di presentazione dell’evento: “La giustizia è necessaria alla società, ma non basta; l’uomo non può vivere in funzione della legge, ma, nella carità, renderà la legge uno strumento di pace.” Motivo della scelta di Perrone è il fatto che il giudice sia riuscito a coniugare legge e carità ma, ricordando l’articolo 1 della nostra carta costituzionale, il presidente dell’Ugci di Lecce, aggiunge a questi valori anche quello della dignità del lavoro. “Vi è un valore che più del lavoro può dare significato dell’esigenza della carità nel rispetto della carta costituzionale? La solidarietà che nell’articolo 2 viene indicata al pari dei diritti inviolabili dell’uomo. Quindi carità e dignità sono fondamenti della giustizia. La figura di Rosario Livatino è tutta qui in quello che è il significato della carità e della dignità, il giudice è stato ucciso mentre si recava al lavoro; aveva rifiutato la scorta perché non voleva accomunare la sua prevedibile sorte a quella di altre persone. La sua morte per la mafia era un modo per sfidare lo Stato e che questo fosse il significato ce lo conferma il fatto che 2 anni dopo il suo omicidio furono assassinati Falcone e Borsellino. Era l’epoca nella quale la giustizia si dimostrava debole, a volte compiacente nei confronti della mafia; vigeva allora l’articolo 55 del codice di procedura penale intitolato al legittimo sospetto che permetteva di celebrare il processo di mafia in corti d’assise diverse da quelle della Sicilia, non rendendosi conto che i giudici siciliani avevano dalla loro parte la conoscenza approfondita del territorio oltre che della legge. Rosario Livatino era fra coloro che perseguitavano con il giusto rigore i delitti di mafia.”

 

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